Post impressionista, espressionista, Fauve…
Henri Matisse è così poliedrico da non rientrare in nessuna specifica corrente artistica.

Nasce l’ultimo giorno del 1869 a Le Cateau-Cambrésis, in Francia; nel 1887 si trasferisce a Parigi per studiare legge e lavora come impiegato statale.
Inizia a dipingere solo nel 1889 e gli si apre un nuovo mondo: “una specie di Paradiso” afferma.

Nel 1891 incomincia a studiare arte all’Académie Julian, nella capitale parigina, studente di Gustave Moreau.
Conosce il pittore John Peter Russel, che lo introduce all’impressionismo e all’arte di Van Gogh: è in questo periodo che il suo stile si rinnova, cambia percorso, abbandona i classicismi…

«Russell fu il mio maestro, e Russell mi insegnò la teoria del colore.»
L’influenza di Cézanne, Gauguin, Signac, Van Gogh, unita all’arte giapponese, rende l’uso del colore fondamentale e cruciale per Matisse.
Nei primi del Novecento conosce Picasso e i due, seppur rivali in campo artistico, diventano ottimi amici.
Nel 1905 il critico Louis Vauxcelles visitando il Salon d’Automne esclama a Matisse: “fauve!”, di fatto consegnando il nome ad un movimento nascente, costituito da colori violenti e stesi in campiture piatte, che diventano la costante dell’opera matissiana.

Seguono anni difficili con la guerra e nel 1917 Matisse si trasferisce a Cimiez, Nice, dove la sua opera si ammorbidisce e si evolve in un percorso unico di stile e coloriture.

E’ da qui che parto per focalizzare in questo articolo la tematica centrale della vita di Henri, il rapporto con il teatro e le opere legate alla drammaturgia.
Centinaia di capolavori artistici realizzati in un arco temporale di trentacinque anni, dal 1919 fino alla sua morte avvenuta nel 1954: si tratta del cosiddetto Période Nicoise, che racchiude tele, disegni e opere grafiche di grande talento.

Matisse è rapito dalla luce del mediterraneo, dalla Cote d’Azure: abbandona gradatamente la pittura per dar vita a nuove forme espressive, che spaziano dal disegno alla progettazione di scenografie e costumi teatrali, fino al papier découpés, le famose carte colorate, che ritaglia e ricompone per creare sintesi formale nelle immagini.

Insomma, un Matisse poco conosciuto, che si reinventa regista, drammaturgo, che cura con estrema attenzione i soggetti, ed espande i tratti decorativi in stile orientale.

Eclettico e sperimentatore: «Non faccio distinzione tra l’esecuzione di un libro e quella di un quadro, e normalmente procedo dal semplice al complesso, ma anche sempre pronto a ritornare al semplice».


Un genio del colore e della linea, che si evince dai suoi moltissimi libri, dalle opere su carta, tutte diverse per stile e tecnica: in grado di passare da pennelli e forbici a inchiostri e matite.

Nel 1919 Matisse riceve l’incarico di realizzare costumi e scenografie per il balletto “Il canto dell’usignolo”: l’artista crea per la prima volta dei veri e propri apparati scenografici, donando alle sue opere l’idea di pittura in movimento.

La carriera di Matisse va considerata a tutto tondo: la produzione grafica si distingue per competenze, originalità stilistica e di tecnica.

Artista delle tinture ma soprattutto del tratto: Henri lavora alla nascita di un libro illustrato nel 1930, l’anno dell’incontro con Albert Skira.
E’ già anziano ma è forte in lui il desiderio di cimentarsi in nuove sfide: il volume esce nel 1932, con ben ventinove incisioni, in cui il significato artistico del segno grafico diventa assoluta semplificazione della forma.

Nel 1941 Henri si sottopone ad un delicato intervento per un cancro all’intestino; da allora è costretto sulla sedia a rotelle, ma niente lo può fermare: forbici in mano e grazie all’aiuto di assistenti realizza enormi collages, i cosiddetti gouaches découpés; l’esplosione dei colori primari è inversamente proporzionale al suo declino fisico.

Come la convalescenza nel 1890, che lo aveva avvicinato alla pittura, così ora questo tragico evento segna un cambiamento netto: l’artista porta la vita esterna dentro casa, trasferendo l’universo della sua anima su carta.

Matisse prima dipinge a gouache (una sorta di tempera diluita) su grandi fogli di carta bianca; una volta asciutti li ritaglia e incolla in grandi composizioni colorate: sintesi perfetta tra coloriture e precisione dei profili, una nuova forma d’arte detta “cut-outs”.

La bellezza dei suoi decoupages sta proprio nella semplicità: materiali modesti e tecniche elementari, in cui colore, dimensioni e forma si tramutano in arte. In realtà sono opere complesse, nate da una costante ricerca e da un immenso lavoro di sintesi.

Del 1944 le illustrazioni per l’Ulisse di James Joyce e il Pasiphaé: un capolavoro su velina d’Arches filigranata, in cui il bianco e il nero sono invertiti come in un negativo, con incisione su linoleum a tutta pagina.

«Una semplice linea bianca su fondo assolutamente nero.»
Il successo arriva con Le Lettres portugaises del 1946, in cui Matisse illustra volti femminili con un’attenzione ai particolari quasi spasmodica.

Ma è con Jazz, pubblicato nel 1947, che si evince la sua grandezza: ha l’occhio del tipografo, che sa metter insieme lo specchio stampa e la nitidezza delle linee delle incisioni.
Il colore torna prepotente in questo “libro fiore”, come lo definisce l’editore Tériade: esce fuori dalle carte ritagliate in timbri vividi, regalando all’opera estro e contenuto.

I Poèmes di Charles d’Orléans, volume pubblicato nel 1950, rappresentano la sua più grande architettura in un libro, caratterizzano l’evoluzione artistica di Matisse: abolisce i caratteri di stampa per ricopiare a mano le strofe con le sue matite colorate.
Gli anni Cinquanta, e fino alla morte, sono pregni di litografie, incisioni su rame e linoleografìe, tutte per edizioni a stampa.

Non dimentichiamo le copertine per la rivista francese Verve, quelle con il lettering a mano, cataloghi e affiche, tra cui la serie di rombi colorati per l’Atelier Mourlot di Parigi.

I quattro Nudi Blu del 1952: Matisse ha ottantadue anni e non essendo in grado di sistemare i grandi fogli di carta, si fa aiutare da validi assistenti, che eseguono le sue istruzuioni con spilli e puntine, fino all’equilibrio perfetto da lui voluto.

E l’Escargot, un’opera realizzata un anno dopo: malato e costretto a letto, così infermo che dopo aver ritagliato i pezzi di carta, e averli dipinti, chiede all’infermiera di disporli sul foglio per terminare l’opera.

Oggi Matisse sarebbe non solo un artista, ma anche un editore, tipografo, grafico e co-autore.

“Mi impegno a creare un’arte che sia per lo spettatore, in qualunque condizione si trovi, una sorta di calmante cerebrale, di tregua, di piacevole certezza che doni pace e tranquillità.”
“Io sono troppo dentro a ciò che faccio. Non ne posso uscire, per me non esiste altro.” – da una lettera a Marcelle Marquet