Siamo a Kabul, al Museo delle mine OMAR, Organization for Mine Clearance and Afghan Rehabilitation, ossia Organizzazione per lo sminamento e riabilitazione in Afghanistan.
Non si tratta certo di un museo classico, infatti non è aperto al pubblico o a visitatori occasionali, ovviamente per motivi di sicurezza: per visitare il sito occorre fissare un appuntamento per tempo.
All’interno dell’edificio adibito ad esposizione ogni angolo è colmo di razzi, bombe, armi da guerra di ogni tipo, in un percorso che si snoda su almeno quarant’anni di conflitti bellici avvenuti nel paese.
Le mine sono tantissime, si perdono a vista d’occhio, e sinceramente non pensavo ne esistessero così tante varietà: si spazia dalle piccole, medie e grandi, realizzate in metallo oppure plastica, quelle impossibili da rilevare con gli strumenti appositi.
La maggior parte sono però di dimensioni ridotte, economiche e progettate non per uccidere, come si potrebbe erroneamente pensare, ma per ferire: un soldato nemico ferito reca più danno di uno morto…
Sono usate come meccanismi difensivi, di certo non possono fermare un esercito, sebbene sicuramente letali per i civili, soprattutto minori.
Le maledette mine di plastica, piccole e colorate, le “butterfly mines”, appunto mine a forma di farfalla, o pappagalli verdi come le chiama Gino Strada nel suo libro, sembrano dei giocattoli e molti bambini, passeggiando all’aperto, le trovano sul terreno, raccogliendole con l’ingenuità di aver scoperto un nuovo gioco e si feriscono, rimanendo gravemente e permanentemente invalidati.
Proprio per questo motivo il museo è utilizzato come piattaforma educativa per le scolaresche e varie organizzazioni umanitarie, allo scopo di insegnare come sono fatti i diversi tipi di ordigni ed evitare nuove tragedie.
E’ uso comune pensare che le mine siano di solito piazzate sotto terra, in realtà molte sono lasciate in superficie, sul terreno, utilissime per imboscate o semplicemente per rallentare il percorso dei soldati.
Progettate per contenere materiale tagliente, cuscinetti a sfere metalliche, una volta innescate si trasformano in veri e propri proiettili: esplodendo creano un muro d’aria carico di detriti che si espande in un raggio di quasi settemila metri al secondo; le onde d’urto sono così forti che perfino gli arti staccati delle vittime si trasformano in pallottole, uccidendo altre persone a media distanza.
Poi ci sono le bombe a grappolo: ordigni sganciati da elicotteri o razzi, missili guidati, con all’interno le cosiddette submunizioni, le bomblets: mettendo in funzione il cluster, ossia l’ordigno principale, le bomblets vengono disperse a distanza.
La mina comune è progettata per colpire persone e veicoli, ma ne esistono di specifiche atte a distruggere piste di atterraggio aereo, linee elettriche e liberare sostanze chimiche.
La PFM1 e la Dragoontooth americana sono stati i modelli più usati: da un’analisi effettuata sugli ordigni di guerra e sebbene la quasi totalità delle mine sia progettata per funzionare all’impatto, queste risultano avere problemi di funzionamento la maggior parte delle volte; inesplose al suolo, restano parzialmente interrate e causano successivamente vere e proprie stragi sull’ignara popolazione di passaggio, morte di poveri contadini che lavorano i campi.
La Convenzione di Ottawa siglata nel 1997 vieta la progettazione, lo sviluppo, il commercio e l’impiego di mine antiuomo, ne proibisce lo stoccaggio e ne promuove la distruzione: inutile dire che ben trentasei stati appartenenti alle Nazioni Unite non hanno firmato l’accordo, gli stessi che hanno rifiutato la sottoscrizione della Convenzione internazionale sulle bombe a grappolo di Oslo del 2008.
Paesi “a caso”, come gli Stati Uniti, la Cina, la Russia, Israele, il Pakistan…
In Afghanistan attualmente si è ancora alle prese con una pesante bonifica del territorio e più di tutto l’estrema difficoltà sta proprio nella mancanza di una documentazione delle aree interessate. E a dirla tutta c’è da sfatare il luogo comune che siano solo i talebani gli unici ad aver “seminato” nel paese tutte queste mine, d’altronde loro preferiscono minarsi addosso: c’è da ringraziare i mujahideen, i sovietici e tutti gli altri invitati a partecipare alla festa a suon di bombe ed armi non convenzionali.
L’esterno del museo è adibito ad hangar, con una quantità enorme di elicotteri, aerei e razzi sovietici, fino ad arrivare alle donazioni americane dei missili SAM, Surface to Air, terra-aria, tra cui il famoso Stinger.
Basta guardarsi intorno per capire quanti soldi vengono sperperati impunemente per fomentare guerre…
Ad oggi credo non sia chiaro ciò che accade ad un paese travolto da anni di guerra: qui è come vivere in una Matrix, in cui la normalità è andare al mercato a comprare mentre in cielo volano elicotteri militari, tiri su la testa e ci vedi i military spy Blimp, al posto delle nuvole e degli uccelli, un grande fratello che veglia su tutto; vai all’università per assistere ad un corso e ti rendi conto che la tua macchina fotografica crea terrore ai controlli: è vera oppure è una micro bomba?
Eppure vi garantisco che il vecchio detto “ci si abitua a tutto” corrisponde a verità: dopo un paio di giorni non pensi più all’entrata super blindata dell’albergo, alle finestre con vetri antiproiettile e sfondamento, alle guardie armate, ai posti di blocco, ai muri di cemento ovunque e le strade presidiate… Anche gli spari in lontananza diventano una quotidianità a cui nessuno dovrebbe essere abituato.
@Blogjuls
Che tristezza infinita e che senso di impotenza!
Popolazioni lacerate e una quotidianità così diversa dalla nostra…..
Brava Juls, continua a farci riflettere.
Si, vero… Ti assale la tristezza e senso di impotenza. Però credimi, quando sei lì trovi anche il coraggio di sorridere, e quella forza te la danno loro, perché nonostante tutto non si arrendono a questo destino…
Grazie Carla e benvenuta!
Un articolo originale e interessante. E rabbrividente.
Grazie Fabricio. ❣️
Eccezionale come sempre…..Bravissima
Grazie Mauro! Mi fa davvero piacere ti sia piaciuto. Un abbraccio! ❤️
So Sad ! worst than “pollution”………Violenza ! Quando finirá ? Grazie Giulia ! Bom dia para ti !
Grazie a te José! Buona giornata